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Excalibur la Spada di Macsen di Alvaro Gradella
Il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo, protagonista di questo romanzo e del precedente L’Aquila e la Spada fu l’ultimo Governatore romano delle Britannie ma, soprattutto, fu una figura essenziale per la nascita dell’epopea di Re Artù e della sua spada Excalibur, anche se pochi fra noi discendenti dei Romani lo sanno!
Excalibur la Spada di Macsen
Alvaro Gradella
Dopo “L’Aquila e la Spada” il sogno di Macsen continua.
Autore: Alvaro Gradella | Lingua: Italiano |
Prefazione: Raffaella Bettiol Adolfo Morganti |
Illustrazioni: mappe |
Illustratore copertina: Raffaele Caruso | Pagg.: 394 |
Genere: Romanzo storico/mitologico | Formato: 15×21 |
ISBN: 9788897674436 | Rilegatura: Brossura con alette |
€ 14,90
Descrizione
Dopo L’Aquila e la Spada il sogno di Macsen continua.
Chi fu il Comes Britanniarum Magno Clemente Massimo, protagonista di questo romanzo e del precedente L’Aquila e la Spada? Egli fu l’ultimo Governatore romano delle Britannie e “usurpatore” temutissimo nel tardo Impero. Ma, soprattutto, fu una figura essenziale per la nascita dell’epopea di Re Artù e della sua spada Excalibur, anche se pochi fra noi discendenti dei Romani lo sanno!
I bardi di Britannia ne cantarono per secoli le gesta nella ballata Breuddwyd Macsen Wledig (Il sogno del Duca Massimo), contenuta poi nell’antica raccolta Mabinogion, unica traccia scritta delle leggende britanno-celte.
La sua spada, la Spada di Macsen, è stata favoleggiata come l’arma che sarebbe stata tratta dalla roccia, e chiamata Excalibur.
Goffredo di Monmouth, storiografo gallese del XII Secolo, nella sua fondamentale Historia Regum Britanniae – fonte primaria di tutta la “Materia di Bretagna” e del “ciclo arturiano” – fa addirittura affermare ad Artù che Magno Massimo era suo “parente stretto”.
Ed è in questo romanzo, come in L’Aquila e la Spada, che questa figura viene, come mai prima, svelata e messa in luce.
In un intreccio fra Storia scritta, Leggenda tramandata e Fantasia, fra visioni e incantesimi, battaglie e gesta eroiche, intrighi e tradimenti, Magno Massimo si confronterà con altri “giganti” della sua epoca appartenenti alla Storia (l’Imperatore Teodosio il Grande, il Vescovo di Mediolanum Ambrogio, il retore Agostino, il monaco Martino) e al Mito (il druido Taliesin, il principe britanno Cynan Meriadoc).
Insomma, per la prima volta, questo romanzo narra di un retaggio finora misconosciuto dei quattro secoli di dominazione romana in Britannia: quel retaggio da cui – grazie a Magno Massimo – sarebbe nata, quasi un secolo dopo, la memorabile leggenda di Re Artù e di Excalibur.
Il romanzo Excalibur – La Spada di Macsen, così come L’Aquila e la Spada, di cui quest’opera è il seguito – trae origine dal racconto La Terza Aquila, anch’esso scritto da Alvaro Gradella e pubblicato nella raccolta È sempre tempo di eroi, edita nel 1998 da Il Cerchio.
Il personaggio principale, il generale romano Magno Clemente Massimo, è una figura realmente esistita, come lo sono la maggior parte dei contemporanei che leggiamo fargli da contorno: gli Imperatori Flavio Graziano, Teodosio il Grande e Giustina, il Vescovo Ambrogio, il retore Agostino e il monaco Martino (futuri Santi della Chiesa Cattolica), e così via. Nella narrazione, quindi, lo vedremo muoversi e agire in un contesto del tutto congruo al proprio tempo (la fine del IV Secolo d.C.) e – in buona parte – nel rispetto di quanto gli storici ci riportano di lui, nonché della situazione politica, militare e dinastica negli Imperi Romani d’Occidente e d’Oriente.
Magno Massimo (Macsen Wledig, così chiamato dai Britanni) non sfuggì a una spietata damnatio memoriae, ma Excalibur – La Spada di Macsen restituisce voce e gloria – come mai prima – a questo straordinario protagonista della storia di Roma e della Britannia.
Prefazione di Raffaella Bettiol
Con mano elegante e sicura nel suo secondo romanzo, Excalibur – La spada di Macsen (Runa Editrice 2014 Padova), Alvaro Gradella narra le vicende finali della parabola politico-militare ed umana di Magno Clemente Massimo, ultimo governatore della Britannia.
Il racconto dell’eroe romano, condannato alla damnatio memoriae dalla storiografia ufficiale quale usurpatore, ma entrato a far parte della mitologia gallese con il nome di Macsen Wledig, si colloca in un periodo, durato circa un decennio, che vede, dopo la disfatta di Adrianopoli del 378 d.C., l’accentuarsi della crisi dell’Impero Romano, una crisi che traeva origine da molteplici motivi sia di ordine politico, sociale, economico, sia militare e non ultimo religioso. Fu, infatti, l’insieme di queste cause disgreganti a facilitare le invasioni delle popolazioni barbariche.
Leggenda e storia confliggono apertamente nei riguardi delle vicende e della personalità di questa figura di condottiero romano, ma, come già ricorda Alvaro Gradella nel sottotitolo del suo primo libro L’Aquila e la Spada: La storia è scritta dai vincitori, la leggenda dagli sconfitti. Per l’autore, infatti, Magno Clemente impersonifica le virtù e i valori più alti della romanità, entrati decisamente in declino nel IV secolo dopo Cristo.
Se nel primo romanzo predomina, nonostante pagine altamente drammatiche, una costante luminosità, accesa dai bagliori del magismo proprio della cultura dei celti, popolata di riti magici, di druidi e di fate, e dall’amore della principessa Elain, in Excalibur, invece, sono il dramma e la solitudine di un uomo tradito, il quale ha perso tutto ciò che amava, a segnare il racconto.
La scrittura è tesa ed asciutta, molto spesso i luoghi descritti sono pervasi da una foschia latente. Manca in questo romanzo lo sguardo incantato innanzi alla natura, ma c’è forse una più accentuata e minuziosa descrizione architettonica delle città e delle fortificazioni romane; sappiamo che in quel periodo gli architetti divennero i professionisti più ricercati e i personaggi più importanti. Nei consigli comunali dei vari centri urbani grandi o piccoli, l’assessorato all’edilizia era la carica più importante, perché disponeva di maggiori risorse. L’autore, inoltre, si sofferma a lungo sulla descrizione dei luoghi e sulle vicende in essi accadute, aprendo, talvolta, ampie digressioni storiche, quasi dei flashback.
Il mondo magico quasi scompare in Excalibur, anche se è sempre vicina al nostro eroe la figura del druido Taliesin, al quale Clemente Massimo affiderà la famosa spada, chiamata Excalibur, forgiata per lui dal Dio del ferro e del fuoco, che diverrà la vera protagonista dei celebri cicli arturiani. Ciò che colpisce maggiormente il lettore in questo romanzo è l’abilità con cui Gradella sa accostare realtà a fantasia. L’ambientazione storica è, infatti, precisa e testimonia, ancora una volta, la passione dell’autore per lo studio della romanità.
Il racconto ha inizio a Milano che, assieme ad Aquileia, alla fine del IV secolo d.C., è la città che riveste maggior importanza in Italia. Qui, infatti, Giustina e l’imperatore Graziano avevano spostato la corte imperiale. Lo stile chiaro e limpido della narrazione rende estremamente vividi i personaggi con cui il nostro protagonista si dovrà confrontare: sono “i grandi” della sua epoca, si pensi soltanto al Vescovo Ambrogio e a Santâ Agostino.
Un argomento più volte ripreso da Alvaro Gradella riguarda la questione religiosa: il cristianesimo con la sua dottrina ed anche la sua intransigenza avrebbe, secondo l’autore, minato i valori fondanti l’Impero di Roma. Al monaco Martino, il quale si vantava d’aver distrutto “ogni covo di idolatria”, così l’autore fa rispondere Magno Clemente: «Oh, certo! Roma ha ucciso, ha schiavizzato. Ha distrutto, ma dove altre armate conquistatrici erano passate come orme di cavallette, devastando e massacrando, per poi ritirarsi depredando ogni cosa e lasciando il buio della carestia e della devastazione, Roma ha portato invece un po’ della sua luce e della sua civiltà… E lasciava ai popoli sottomessi la libertà di continuare i suoi culti e le tradizioni dei suoi antenati».
Gli imperatori Graziano e Teodosio in quel periodo si erano fatti paladini del cristianesimo, bandendo ogni altro culto, ma questo aveva inasprito, ci ricorda Gradella, gli animi di molti legionari ancora legati al mito di Mitra. Si veniva in tal modo a negare uno dei principi fondamentali della romanità, la pax deorum. Nell’ambito del Cristianesimo, inoltre, si erano verificate infinite divisioni e dispute teologiche, tali da aggravare la già accentuata decadenza di un sistema; si ricordino le lotte tra l’arianesimo ed il cattolicesimo. Sant’Ambrogio si schiererà più volte contro Giustina ed il figlio Valentiniano II, i quali avevano in un primo tempo abbracciato la dottrina cristologica del monaco Ario.
Splendide scenograficamente sono le descrizioni delle battaglie e della corsa degli aurighi, con cui si apre il romanzo: l’autore si sofferma con grande precisione e capacità espressionistica su tali avvenimenti. Di sovente inoltre egli utilizza termini latini per descrivere armamenti, cariche ufficiali; Gradella sa bene che non tutti i termini troverebbero un’esatta traduzione in italiano.
Lo sguardo di Magno Clemente Massimo non è più quello che, talvolta, ci appariva sorridente ed orgoglioso ne L’Aquila e la Spada; spesso ora i suoi occhi neri appaiono annebbiati dal dolore, velati di struggente malinconia. Il nostro eroe sa che forse è quasi giunto alla fine del suo lungo viaggio.
Un’indiscutibile continuità ideologica e di ispirazione vivifica i due libri di Alvaro Gradella, narranti le vicende di questo straordinario condottiero romano condannato alla damnatio memoriae, perché entrambi non solo celebrano la grandezza di Roma e quanto di questa sia rimasto in eredità al mondo epico e fatato della Britannia, ma evidenziano, oltre alla creatività, la profonda cultura e sensibilità storica dell’autore.
Raffaella Bettiol
Presidente Società Dante Alighieri
Comitato di Padova
Alvaro Gradella
È da lunghissimo tempo ormai padovano d’adozione.
Dopo la maturità scientifica, frequenta un corso di dizione e recitazione con il Teatro Universitario. Giovanissimo e affermato dj. agli esordi delle Radio Private inizia un’attività parallela di “voce” radiofonica, divenendo in breve tempo un riconosciuto professionista del settore.
Dal ‘79 fino alla fine degli anni ‘80 vive a Roma dove conduce programmi per Radio-RAI e, come attore, lavora nel doppiaggio, in teatro e nel cinema.
Di nuovo a Padova, torna a occuparsi di conduzione e produzione di programmi e talk-show radiofonici, pur continuando nella partecipazione a film e fiction televisive.
La sua principale attività nel mondo del cinema è quella di interprete e tra i lavori più interessanti possiamo citare la partecipazione nel film Il leone di vetro (2014) di Salvatore Chiosi dove ha interpretato la parte del Podestà Gradenigo.
È stato anche impegnato nell’Amministrazione Comunale della città patavina.
Da sempre cultore della Roma Antica e dei Cicli Arturiani, pubblica il romanzo storico/mitologico L’Aquila e la Spada (Runa Editrice, 2013), a cui segue Excalibur – La Spada di Macsen (Runa Editrice, 2014).
Premi letterari:
Il Premio Letterario Giuseppe Morselli IXa edizione 2016 per la narrativa è stato assegnato ad Alvaro Gradella per i suoi romanzi storico/mitologici L’Aquila e la Spada e il seguito Excalibur – La Spada di Macsen, con la seguente motivazione: “Narrazione tra storia e fantasia, intensa di emozioni, che non cade nella superficialità del racconto, ma è frutto di attenta ricerca che coinvolge e trasporta il lettore…”
Recensioni e stampa
Intervista di Michela Zanarella ad Alvaro Gradella ed al suo libro “L’aquila e la spada”
su Oubliette Magazine
“I tuoni galoppavano fra grevi nuvole grigie e le grida dei feriti sembravano invocare la pioggia, affinché scendesse a lavare tutto quel sangue.”
Dal primo capitolo de “L’aquila e la spada“.
Alvaro Gradella, padovano di adozione, è conduttore radiofonico, attore, autore del romanzo storico “L’aquila e la spada“. Dal ‘79 fino alla fine degli anni ‘80 vive a Roma dove conduce programmi per Radio-RAI e, come attore, lavora nel doppiaggio, in teatro e nel cinema. Di nuovo a Padova torna ad occuparsi di programmi radiofonici.
È stato anche impegnato nell’Amministrazione Comunale della città patavina. Da sempre cultore della Roma Antica e dei Cicli Arturiani, è al suo primo romanzo. Michela Zanarella lo incontra per Oubliette Magazine.
M.Z.: Quale motivazione ti ha indotto a scrivere il romanzo storico “L’Aquila e la Spada”?
Alvaro Gradella: Fin da bambino sono sempre stato un ‘divoratore’ di libri, a cominciare da quella che si chiamava ‘letteratura per ragazzi’: Verne, Salgari, London. Crescendo, poi, ho letto di tutto: da Chandler a Poe, da Kafka a Pasolini, da Mailer a Berto, da King alla McCollough, eccetera, saltando letteralmente – o meglio, letterariamente! – di palo in frasca. Andando avanti, mi sono sempre più appassionato al genere storico, specie per quel che riguarda l’antica Roma, e ai cosiddetti ‘cicli arturiani’, specie nei loro interpreti più moderni come Terence. H. White (dal cui “Once and future King” Walt Disney trasse il suo “La Spada nella Roccia”), Bernard Cornwell, Marion Z. Bradley, Stephen Lawhead e Mary Stewart. A un certo punto, sia nei romanzi di Lawhead che della Stewart mi ha colpito il fatto che ricorresse – seppure in maniera poco più che accennata – uno stesso personaggio di generale romano in Britannia il cui nome era Magno Massimo. Molto incuriosito, ho voluto approfondire questa figura e ho scoperto che si trattava dell’ultimo Dux Britanniarum, realmente esistito e divenuto leggendario per i Celti di Britannia. Non solo! Egli veniva citato anche da mito-storiografi come Nennio e Goffredo di Monmouth che gli hanno accreditato una parte essenziale nella nascita dell’epopea d’Artù e della sua spada Excalibur. Magno Clemente Massimo è un personaggio praticamente sconosciuto a noi latini, dato che allora – alla fine del IV Secolo d.C. – venne a scontrarsi con l’Imperatore Teodosio I – che lo sconfisse e giustiziò – e fu bollato poi come usurpatore e fatto segno a damnatio memoriae; ma per i Britannici è una figura storica importante, argomento di studi e trattati. Ecco! Io ho voluto dar voce – come nessuno aveva fatto prima – a questo straordinario protagonista della storia di Roma e della Britannia, e finalmente narrare – intrecciando Storia scritta e Leggenda tramandata – quanto abbiano inciso la gloria e la potenza di Roma nella genesi dell’immortale leggenda di Re Artù.
M.Z: Quali sono le caratteristiche che identificano un romanzo come storico?
Alvaro Gradella: Dal mio punto di vista, per essere definito tale un romanzo storico deve avere delle solide basi – appunto! – storiche. Insomma, le vicende narrate debbono essere congruenti con il periodo in cui si svolgono e con quanto di allora ci viene riportato da testi e corrispondenze. Poi, ovviamente, un autore ‘colorerà’ il tutto con la fantasia e l’estro che gli sono propri, immaginando e creando dialoghi, episodi, caratteri, sempre però rispettando anche l’assioma per cui ogni epoca ha usi, costumi e tipi di relazioni assolutamente peculiari che altrimenti sarebbero – appunto! – anacronistici. Certo, qualche ‘licenza’ dell’autore in favore del plot narrativo scelto è ammissibile, ma non dovrebbe stravolgere una coerenza di fondo con gli avvenimenti cui fa riferimento. Se posso fare un esempio, per me la grande Colleen McCollough – con la sua meravigliosa ‘eptalogia’ su Roma che parte da Mario e Silla e giunge fino a Cleopatra – ha creato il romanzo storico ‘perfetto’: attenzione ai collegamenti temporali dei fatti, aderenti descrizioni di comportamenti e di rapporti fra i personaggi oltre che analisi di mentalità e ‘atmosfere’, raffigurazioni minuziose e quasi fotografiche di luoghi, mode, accadimenti…Tutto questo, però, rappresentato con una scrittura vivida e trascinante. È incredibile come una scrittrice australiana abbia saputo così ben tratteggiare una civiltà come quella della Roma tardo-repubblicana tanto lontana da lei nel tempo e – soprattutto – nello spazio!
M.Z.: Come nasce la tua passione per la storia romana?
Alvaro Gradella: Ho avuto la fortuna di vivere per molti anni a Roma, e l’emozione che mi provocava quella vicinanza quotidiana a vestigia millenarie così uniche e stupefacenti ha finito per indirizzare la mia passione per la storia antica – che coltivavo da tempo anche per i Greci, gli Egizi e (altro salto di palo in frasca!) gli Aztechi – sempre più verso quel popolo incredibilmente potente, astuto e ‘precursore’ che furono i Romani. Poi, ovviamente, più leggevo, più studiavo, e più aumentavano la passione e l’ammirazione per queste che sono orgoglioso siano le mie radici, così come lo sono per tutti gli Italiani. Se qualcuno, invece, s’aspettava che questa passione mi fosse derivata dagli studi alle superiori, ovviamente, s’è illuso! L’ottusità di molta parte dell’ambiente docente di allora continuava a voler far ‘pagare’ a Roma antica l’utilizzo che ne aveva fatto il regime fascista, per cui ce ne parlava con un misto di disprezzo e insofferenza che certo non giovava sia al nostro apprendimento che al nostro appassionarci.
M.Z.: Battaglie, rituali, sentimenti danno vita ad una trama avvincente e ad una scrittura interessante. Come è avvenuta la stesura del libro, quali archivi e biblioteche hai contemplato?
Alvaro Gradella: Nell’Appendix del mio romanzo – oltre ad una Cronistoria di Roma d.C., la Toponomastica antica e moderna dei luoghi citati e una tabella di comparazione fra alcune Unità di Misura romane e attuali – c’è buona parte dei testi consultati per dar vita alla storia che avevo in mente. Alcuni di essi (opere di Nennio, Monmouth, Graves, Monelli, Stewart, White, ecc.) facevano parte della mia biblioteca, altri (ad esempio, gli articoli dei britannici Roberts e Matthews) me li son fatti arrivare dall’Inghilterra…Come ho già detto, riguardo a Magno Clemente Massimo in italiano si trova molto poco, ma i Britannici gli hanno dedicato – oltre a ballate e leggende – pagine e pagine di studi e trattati anche in età moderna. Addirittura, l’inestimabile e ponderoso “Barrington Atlas of the Greek and Roman World” – su cui ho passato tante notti a studiare gli itinerari e la toponomastica del tardo Impero romano, poi riprodotti nel mio romanzo – è il prodotto di un’iniziativa della American Philological Association in collaborazione con l’Università di Princeton, nel New Jersey. E meno male che con la lingua inglese me la cavo! Se qualcuno avesse notizia di analogo tomo in italiano, me lo comunichi, e avrà tutta la mia riconoscenza…Ma grande parte nella mia ricerca – come, del resto, ho riconosciuto citandola fra le altre “Fonti” – ha avuto la Rete! Ovviamente, non mi sono limitato a Wikipedia, che comunque è molto meno imprecisa e fallace di una volta…Per capirci, nella navigazione in Rete è bene toccare diversi ‘porti’, confrontare varie fonti, prima di accettare un dato, una notizia o un avvenimento. Bisogna cercare, comparare, verificare più volte tramite vari siti. Non dimentichiamo che in Internet si trova Wikipedia, ma anche la Treccani! Tanto per fare un esempio, in Rete ho rintracciato da testi inappuntabili delle bellissime traduzioni di intere pagine dello storico del IV Secolo d.C. Ammiano Marcellino. Detto questo, è chiaro che, comunque, ci deve essere una ‘base’ di conoscenza che solo le letture e lo studio possono aver dato.
M.Z: “La Storia è scritta dai Vincitori, la Leggenda… dagli Sconfitti” era il sottotitolo della prima edizione del romanzo, ora pubblicato in ristampa con Runa Editrice. Quanto la leggenda ha spazio in questo tuo romanzo rispetto alla storia?
Alvaro Gradella: Il mio è un romanzo storico particolare: da un lato esso si sviluppa in un contesto assolutamente congruo al periodo in cui è ambientato (la fine del IV Secolo d.C.) e nel rispetto di quanto gli storici – sia di quei tempi che moderni – ci riportano riguardo alla situazione politica, militare e dinastica negli Imperi Romani d’Occidente e d’Oriente di allora; dall’altro lato, però, grande parte ha quanto la Leggenda, i carmi, le ballate dei Celti di Britannia ci hanno tramandato nei secoli. Cito fra tutti “Breuddwyd Macsen Wledig” (Il sogno del Duca Massimo), tratto dal “Mabinogion”, dove il personaggio principale del mio romanzo era l’unico non-celta protagonista di un brano di questa raccolta di antiche ballate che i bardi cantavano al suono cristallino delle arpe nelle corti britanne alto-medievali. Così, ho voluto che ne “L’Aquila e la Spada” – quasi come nel ‘tartan’ (il classico tessuto britanno) – storia e leggenda, realtà e fantasia, ciò che è terreno e ciò che è mistico – e quindi battaglie, intrighi, Deità tenebrose e rituali oscuri – si intrecciassero per mostrare, per la prima volta, a quale straordinario risultato ha portato l’incontro fra il disincantato (forse, a volte, sbrigativo) ma straordinariamente efficace pragmatismo dei Romani e il naturalismo magico e sognante dei Celti di Britannia. E’ da questo intreccio e da questo personaggio che è nata la straordinaria leggenda di Re Artù e della sua Spada, come tramandarono chiaramente antichi mito-storiografi quali il chierico bretone Nennio, con la sua “Historia Brittonum” del IX Secolo, e l’ecclesiastico gallese Goffredo di Monmouth, con la “Historia Regum Britanniae” dell’XI Secolo. Nel mio piccolo, ho voluto strappare il sudario della damnatio memoriae dal busto marmoreo del Dux Britanniarum Magnus Clemens Maximus e restituirgli un po’ di quella luce che il Mito riserva agli Eroi. È vero, alla fine egli venne sconfitto, ma il suo nome rimarrà legato per sempre alla leggenda straordinaria del Rex quondam, Rex futurusque, il Re in eterno: Re Artù.
M.Z.: A quale personaggio del libro ti senti maggiormente legato?
Alvaro Gradella: A molti potrà sembrare strano, lo so, ma il personaggio al quale sono più legato è la Principessa britanna Elain. Secondo quanto ci viene riportato da antichi testi, essa fu amata da Magno Massimo e ne divenne la sposa. Non si sa molto di questa fanciulla, e forse quello fu un classico matrimonio ‘politico’ che consolidava l’alleanza fra Roma e la Britannia, ma io ho preferito immaginare e descrivere comunque una vera storia d’amore, anche perché questa era emblematica di un Magno Massimo sempre più permeato del mondo britanno. Nella prima stesura del romanzo, non avevo adeguatamente approfondito e sviluppato questa bellissima figura. Poi, rimettendo mano a quanto avevo scritto, (anche su sollecitazione materna, lo ammetto…) mi sono accorto che la principessa Elain meritava ben altro risalto! Adesso, sono convinto che questo personaggio femminile – così ampliato e valorizzato – abbia donato al mio romanzo qualcosa di prezioso che sicuramente mancava nella prima versione. Come uomo, ‘creare’ questa nobile e luminosa figura di donna è stata una sfida davvero stimolante, e avere sentito tante lettrici dichiararsene conquistate e commosse mi ha reso molto orgoglioso.
M.Z.: Progetti per il futuro?
Alvaro Gradella: Sicuramente c’è quello di diffondere il più possibile questa bella ristampa pubblicata con una nuova grafica da Runa Editrice. Poi – il più ambizioso – quello di completarne il seguito, al quale sto lavorando e che si intitolerà molto probabilmente “Exchalibeorta – La Spada di Macsen”. Molti di coloro che hanno letto “L’Aquila e la Spada” (che, non ha caso, non ha la parola “Fine” all’ultima pagina) mi chiedono quando questo seguito uscirà… Io spero per l’estate prossima.
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